domenica 25 febbraio 2018

Volano parole grosse.


Volano parole grosse in un appartamento vicino al mio. Non so esattamente se sia sopra o sotto o accanto. Non lo voglio sapere. So solo che succede spesso,  di solito nel fine settimana, preferibilmente di domenica. E' successo già stamani e ora di nuovo. Le voci sono esasperate, strazianti, disperate. Il timbro sembra quello degli indemoniati oppure ricorda le drammatizzazioni delle prèfiche, nei funerali tradizionali del sud. Vengono in mente anche certe rappresentazioni antiche dell'isteria, quell'amplificazione dei gesti - che immagino - le smorfie del volto, la rigidità degli arti e del dorso che si piega all'indietro, nel tipico arc de cercle, e poi i singhiozzi e poi le urla inarticolate. 


La voce di chi interpreta la parte femminile è abbastanza giovane o così mi pare. Ho sentito distintamente la parola "puttana" ed è lei che la pronuncia; immediatamente sono invasa da fantasie di deliri di possesso o di gelosia, di sospettosità reciproche, di mancanza della minima fiducia nell'altro. 
Mi chiedo perché ci si debba condannare all'inferno in terra. Mi chiedo perché si debbano trascinare certe infelicità volontarie e perché non si possa rompere, civilmente, ciò che non può stare insieme se non a prezzo di una vita invivibile. 


L'amore non è possesso, ma rispetto. L'amore non è sospetto, ma fiducia. Eppure, anche oggi, la notizia di un omicidio tra le mura domestiche. La famiglia non è una formula astratta o un contratto; non ne esiste un'unica forma e nessuna è naturale, perché il modo di formare nuclei intimi muta con le epoche e con le diverse culture. Per me, però, famiglia  è dove si può trovare solidarietà e affetto senza che in cambio ci venga chiesto di tradire noi stessi.


Famiglia è anche dove si può litigare e poi confrontarsi  nei momenti critici, ma il litigio non è la regola, la modalità costante con cui si interagisce quando c'è una divergenza di opinione. il litigio è l'eccezione.


Nella famiglia come la intendo io di fronte a un conflitto a volte si litiga, a volte si discute pacatamente, a volte si impara a tollerare la divergenza. Mi si stringe il cuore  a pensare che si possa, invece, vivere così, in un inferno volontario.  E per fortuna ho un cinema sotto casa, così posso andare lì, stasera.

sabato 24 febbraio 2018

La forma dell'amore


Finalmente, dopo un'astinenza di un mese e mezzo, due giorni fa sono tornata al cinema. Per qualche tempo ancora posso andare solo in sale dove si arrivi con l'auto all'ingresso e accompagnata da persone gentili che me lo propongono, e dunque la scelta è ridotta, ma mi è andata bene.


La forma dell'acqua mi ha tenuta con il fiato sospeso per tutta la sua durata perché, sì, è uno di quei film come piacciono a me. E' un film grottesco perché deve esserlo, e lo è in maniera analoga al melodramma a cui alcuni, infatti, rivolgono le stesse critiche negative.


Irrealistico e dunque superficiale; non modulato nello snodarsi delle emozioni e dei sentimenti, e quindi non credibile; esagerato nella scenografia e nell'atmosfera gotica, e perciò stucchevole o retorico o manierato o furbescamente seduttivo.




A me, invece, è piaciuto proprio per tutto questo: perché è fiabesco, non modulato ed esagerato. Non posso raccontare la  trama per non fare uno sgarbo a chi ancora non l'avesse visto, ma posso almeno dire che mi sono commossa a quell'abbraccio d'amore inaspettato che alcuni hanno percepito come improbabile. 


La persona che amiamo ci appare così: bellissima e strana, e non importa che gli occhi degli altri la vedano in modo diverso, più prosaico e tecnico. L'amore, del resto, assomiglia più a una fiaba che non a un documentario e quando capita di provarlo va accolto come una specie di miracolo che ci precipita in una temporalità acquatica originaria e ci permette di lasciarci andare alle sensazioni più arcaiche, tattili e olfattive.



Sono le sensazioni che ci aiutano a conoscere il mondo prima che sorga la ragionevolezza ma che continuano a orientarci per tutta la vita. Rappresentano la bussola più affidabile che possediamo, capace di impedire che un eccesso della ragionevolezza stessa ci sottragga il coraggio e ci faccia prigionieri delle nostre rassicuranti abitudini.