sabato 13 gennaio 2018

Botte ai professori. Dagli, dagli!



Sono stata in vacanza proprio ad Avola quest'estate, ospite di un amico di mia sorella che conosco da non so più quanti anni e che ha scelto a un certo punto di andare a vivere lì, pur non avendo alcun legame precedente con il luogo. Insegna in quella scuola e ce l’ha fatta vedere, dal di fuori.


Ho conosciuto alcuni suoi colleghi e il suo segretario, che ci ha invitato a cena a casa sua. Abbiamo parlato dei ragazzi che quella scuola la frequentano, gli stessi che la sera incrociavamo nelle passeggiate lungomare o vedevamo sfrecciare sui loro motorini rumorosi.




Abbiamo parlato delle difficoltà, delle frustrazioni e delle gratificazioni, dell’incuria e della cura e di tutte le contraddizioni della scuola pubblica. Sono convinta che il male nasca da due aspetti attualissimi. Il primo è legato al considerare i figli come proprietà da difendere, non come persone da rispettare e amare. Non è amore quella difesa aprioristica dei loro comportamenti che li educa a considerare la famiglia come luogo di omertà e complicità a qualsiasi costo e il mondo come l’insieme dei nemici.




Non è amore né rispetto neanche nei loro confronti quel non spronarli a divenire parte di una comunità più vasta delle mura di casa, rispettandone le regole condivise. Quelle botte al professore non hanno niente a che vedere con l’affetto per il figlio, solo con il desiderio di rivincita e con il disprezzo, in fondo, per la scuola. Ed è questo il secondo motivo che leggo nella vicenda.




Ormai c’è un sentire diffuso di sentimenti di odio e di desideri di rivalsa nei confronti di chi svolge una professione socialmente svilita e messa alla gogna come quella dell’insegnare. Non importa che lo faccia con dedizione o meno, non c’è distinzione. L’idea, che riguarda anche chi insegna all’università e dunque anche la mia categoria di docenti, è che quando si ha a che fare con qualcosa di immateriale come la cultura, la bellezza, cose che insomma non sono prodotti grezzamente utili in senso stretto, si sia del parassiti sociali, dei mangiapane a ufo, dei nullafacenti incapaci persino di cambiare una lampadina fulminata.




E’ un disprezzo che riguarda non solo un ruolo, quello docente, ma la cultura più in generale. Provo angoscia, paura, una specie di nausea nel rileggere dichiarazioni e notizie sulla vicenda di Avola. Ecco un tema che dovrebbe essere al centro delle discussioni elettorali di questi giorni. Chi fine ha fatto quel rispetto per la dignità e il valore della cultura, cioè per quell’esperienza vasta, profonda, complessa, talvolta anche faticosa, che fa mettere le ali al pensiero e ai sentimenti persino quando si è rinchiusi in galera e ci è negata per sempre la libertà di vivere nel mondo? Le botte ai professori non sono solo i pugni e i calci dei due genitori di Avola. Sono anche di altro tipo, magari socialmente incoraggiate; e fanno altrettanto male.

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