venerdì 29 dicembre 2017

La memoria del mare

Pare che si possa fotografare e allora lo faccio, ma mi sento in colpa lo stesso e scatto pochissime foto, veloci e incerte, come questa.
Bella la mostra di Palazzo Strozzi (“Il cinquecento a Firenze”), con le sue enormi pale d’altare alle quali, però, a causa anche del grande afflusso di persone, risulta un po' difficile accostarsi con la giusta distanza spaziale e la necessaria tranquillità emotiva. Bisogna per lo più guardarle da vicino, quindi dal basso verso l’alto, cercando di schivare i riflessi inopportuni della luce.


Molto interessante, però, la scelta delle opere, per l’accostamento che invita a compararne il significato nel paradosso della compresenza di sacro e magico, di naturalistico e di mitico o allegorico. Le due pale che più  mi attraggono, nella seconda sala della mostra – la Deposizione del Rosso Fiorentino e quella del Pontormo, della Chiesa di Santa Felicita - benché praticamente coeve, così accostate esprimono tutta la loro diversità nel contrasto di colori e di struttura.

Deposizione dalla croce, Rosso Fiorentino, 1521 (part.)
E' un contrasto anche psicologico, poiché nella seconda non c’è traccia della disperazione carnale della prima, di quel tenersi il volto tra le mani di Giovanni che si allontana dagli altri e dalla croce, di quel gettarsi di Maddalena, rossovestita, 
ai piedi di un'altra donna, Maria, avvolta in veli bruni.

Pontormo, 1525-28 (part.)
Non c’è traccia nemmeno del colore terreo del carnato quando il dolore sembra dissanguarlo, non diversamente da ciò che accade con la morte.


Deposizione di Pontormo, part.
Il dolore, nella Deposizione del Pontormo, nella quale non si vede più la croce, è tutto nei grandi occhi spalancati dei personaggi che affollano la scena come su un palcoscenico di teatro, ma i loro corpi sono sottili, i volti luminosi e delicati i colori delle vesti.


Jacopo Zucchi, Amore e Psiche, 1589

Spostandosi lungo il percorso ci avventuriamo nella commistione di sacro e profano e dunque il Cristo morto e compianto de La Pietà di Luco, di Andrea del Sarto, apre la mostra insieme al dio fluviale di Michelangelo.

Fata Morgana, Giambologna, 1572
Maria dolente in diverse rappresentazioni pre e post Concilio di Trento convive, invece, con Amore e Psiche, con la Fata Morgana, di Giambologna, con le Veneri. C'è anche il Nano Barbino di Valerio Cioli, rappresentato in maniera realistica in tutta la sua alterità ed emblema del nascente interesse per il mostruoso, l'eccezionale, il non conforme alla natura e alle sue regole.


Foto del Nano Barbino non mia, ma trovata in rete.
Forse, su questo tema del mostruoso che per motivi di studio non inerenti l'arte conosco un po', avrei desiderato una maggiore attenzione e me la aspetto quando mi trovo davanti la statua del nano del Giardino dei Boboli, ma questa aspettativa molto personale non sfiora neanche di striscio gli altri visitatori, compresi quelli che sono con me.



Velazquez, Il principe Baltasar Carlos con un nano, 1630 (non è presente alla mostra, essendo fuori come tema e come epoca...)
Nella mia mente, guardando il Nano Barbino esposto al centro della sala come un cubista in una discoteca, trascorrono velocemente le immagini dei vari freaks che prima di diventare fenomeni da baraccone dei circhi hanno popolato gli spettacoli e le fiere della vecchia Europa, ma anche, come nel caso dei nani, le corti nobiliari. Nani, giullari, buffoni di ogni tipo potevano anche diventare consiglieri, amici fidati e complici dei signori di cui erano cortigiani, nonché depositari di segreti inconfessabili. Oppure potevano condividere le stesse funzioni consolatorie degli animali domestici e come loro, o come i cavalli, vivere in rapporto simbiotico con i propri blasonati proprietari. 
Davanti alla statua del nano scorrono nella mia mente altre immagini, immortalate da Tod Browning nel suo splendido film o immaginate da Tim Barton.

Freaks, Tod Browing, 1932
Ecco allora sfilare nel pensiero le donne - cannone e gli uomini scheletro, gli ermafroditi, i gemelli siamesi, i gobbi e i giullari, come Rigoletto, i giganti e infine i nani, come Barbino.


Le sorelle siamesi di Freaks, 1932
Ogni bambino, fin da molto piccolo, sa cos'è un nano - o folletto, o pigmeo, o troll, o gnomo, o elfo, o hobbit...- e lo sa anche senza averne mai visto uno in carne e ossa. I "nani di corte" come quelli dipinti da Velazquez sono un fenomeno che esplode nel XVII secolo e l'interesse per il deforme ed eccezionale raggiunge il proprio acme nella prima metà del XVIII, ma 
si origina molto prima e proprio nei paradossi culturali del cinquecento. Lo si capisce anche dalla produzione cinquecentesca di libri e correlate xilografie sui "mostri di natura", spesso commentate da uomini di scienza e in particolare da medici.



Donne con tre seni o con la barba, uomini con quattro occhi, persone metà donne (di sopra) e metà uomini (di sotto), bicefali e tricefali, transumando dal mito alla scienza, cominciano proprio nel 500 e riempire di sé interi capitoli di testi medici, spesso di chirurgia, e in seguito, riprodotti in cera, le sale vetuste dei molti musei anatomici concepiti soprattutto come ostensione del raro, del fenomenale, dell'abnorme stupefacente.



Ritorno indietro, a un certo punto della visita, per una nuova, veloce occhiata alla seconda sala. Lo faccio perché a me, volterrana, pare strano vedere fuori dalla sua collocazione abituale la Deposizione dalla croce del Rosso Fiorentino. Intanto penso alle persone che per prime mi hanno portato a visitare la Pinacoteca di Volterra e a quelle che nel tempo vi ho accompagnato io.

Volterra 2016
Quella raccolta e l'attuale sua affascinante sede sono una tappa essenziale del percorso di visita della città. E infatti ci ritorno ogni volta che condivido con qualcuno il mio legame antico con l’acciottolato di selagite delle piccole strade contorte o con l’odore della pietra arenaria.


Volterra 2016.
Tornata indietro guardo di nuovo, come se la vedessi per la prima volta, la pala familiare del Rosso e i suoi colori intensi e contrastivi che ho sempre sentito confacenti rispetto alla mia indole.


Volterra 2016

E mentre la guardo, come tante altre volte ma con occhi diversi, penso alle conchiglie fossili dei muri di Volterra che su, nel vento furioso di maestrale e a ridosso di calanchi alti e scoscesi, conservano, come in un sogno, la traccia del mare.
Nel 500, con gli occhiali
E forse perché mi ripenso bambina, questa mostra la chiudo divertendomi con i miei due fratelli a fotografarci nelle cornici davanti al guardaroba.


Nel 500, senza occhiali, con la faccia un po' così per sembrare d'epoca
In fondo, cultura, arte, musica e letteratura sono ciò che permette anche a noi adulti di continuare a giocare, come se il tempo fosse un eterno presente e potessimo, così, afferrarlo e farlo nostro.


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