domenica 3 luglio 2016

La resistenza ostinata della ginestra

Framura, Giugno 2016
Dopo i papaveri i miei fiori preferiti sono le ginestre. In entrambi i casi si tratta di fiori che nascono spontanei e crescono senza bisogno di particolari cure da parte dell’uomo. Sono anche i fiori della mia infanzia, delle estati felici all’aria aperta in un piccolo paesino in cui l’idea di giardino com’è propria delle città non esisteva o quasi. C’erano pochi giardini privati e il verde e i fiori erano di tutti. Di ginestre ce n'erano tante, ovunque. La ginestra nasce nei luoghi più impervi o aridi, adattandosi ad alture diverse, dal piano fino ai 2000 metri dell’Etna. Resistendo lei stessa a tutto aiuta a resistere e viene usata, infatti, per arginare le frane e crolli dei terreni. Perde persino le foglie, quando fiorisce, eppure è luminosa come il sole, brilla come l’oro nell’azzurro del cielo di luglio e di agosto e spande tutt’attorno a sé un profumo intenso e avvolgente. La ginestra è tosta, resiste alle intemperie, al vento e all’arsura. E’ testarda e adattiva insieme, rude e dolce.  

Giugno 2016
Mi capita da sempre di osservarla a lungo, assorta. E amo fotografarla. Cerco forse di ispirarmi alla sua forza per trovare la mia. La forza, cioè, di resistere alla voglia di riporre sogni e desideri per accordarsi alla piatta bonaccia del porto sicuro, all’abitudine pigra del pensiero che porta alla rassegnazione, alla morte delle speranze, al lasciarsi gestire da un presunto destino che invece siamo noi stessi, in gran parte, a determinare.
Ci si abitua a tutto. Ogni tanto c’è una strage, si contano i morti. La responsabilità, però, si perde, al di là di chi ne rivendica quella materiale. Siamo tutti coinvolti, perché tutti rassegnati a non poter cambiare niente.

Attraverso il finestrino di un treno in corsa, Giugno 2016
Anche nel privato il riverbero di questo disincanto collettivo è evidente. Non c’è più l’idea che la qualità della nostra vita possa migliorare, che potremmo buttare alle ortiche le dinamiche trite e ritrite che mettiamo in scena come un logoro copione da teatro di infima categoria. Da che mondo è mondo succede questo e quest’altro di orribile, ma non c’è niente da fare. Sono fatto o fatta così, non va bene, lo so, ma non c’è niente da fare. E’ il ritornello più frequente, ormai, e si contrappone alla possibilità, anche remota, di poter discutere delle ragioni profonde e complesse delle nostre azioni e comportamenti e della nostra infelicità, quando siamo infelici.

Attraverso il finestrino di un treno in corsa, Giugno 2016
Quando frequentavo il liceo, con i primi rudimenti di greco, mi divertivo a cercare le origini arcaiche delle parole. Non mi attardavo sull’irregolarità dei verbi e relativo studio, che comprende, purtroppo, la gran parte dell’attività scolastica attorno all’apprendimento di quella lingua e cultura, ma mi servivo senza sensi di colpa del proibito e famigerato Pechenino (vedi qui) che tutti noi tenevamo nascosto tra i libri e sotto il banco quando c’erano i compiti; e del resto, perché mai avrebbero scelto quel piccolo, ridicolo formato, se non perché fosse usato così, proibito e venduto, di generazione in generazione? Invece mi spingevo da sola ad approfondire le etimologie, spesso senza trovare riscontro scientifico a quelle che erano solo intuizioni del tutto soggettive di ragazzina. Così, giocando con le parole, mi ero messa in testa che “ginestra” avesse a che fare con il femminile, che fosse connesso al termine gynè, donna.

Liguria, Giugno 2016"...Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,..."
A rafforzare questa idea, poi, c’era anche la forma di quel fiore, sorprendentemente simile a quella del clitoride, organello tanto piccolo eppure così grande oggetto di timore e di ritorsioni crudeli da parte maschile, forse perché simile in tutto, forma e funzionamento, a un pene e non sia mai, in corpo di donna! Asportarlo non è una prerogativa propria solo della barbara tradizione della mutilazione genitale femminile (vedi qui) consuetudinaria di alcuni paesi dell’Africa. Fino a un secolo fa l’escissione del clitoride veniva praticata anche in Europa, talvolta sostituita dalla cauterizzazione, nelle sedi più importanti della medicina scientifica e a danno delle donne all’epoca diagnosticate come “isteriche”.

Attraverso il finestrino di un treno in corsa, Giugno 2016
Non ho trovato riscontri scientifici della derivazione etimologica della ginestra dall’ambito del femminile. Eppure continuo a ritenerla plausibile per qualche oscura caparbietà. Siamo spesso noi donne, alcune di noi, a resistere di più alle intemperie, a curare ostinatamente e in maniera efficace i legami e gli affetti, a cercare di preservarli dall’aridità del contesto sociale e di mantenerli luminosi e odorosi. A volte ci spingiamo a sognare troppo, allontanandoci dai confini della realtà. Altre volte siamo costrette ad arrenderci, ma poi ci rialziamo, forse senza foglie, ma di nuovo cercando di tornare luminose di fiori per andare incontro a una nuova estate. Non mi piace generalizzare e cercherò di non farlo, di enucleare nella mente i tanti uomini resistenti e adattivi che conosco e immaginare, com'è sicuro che sia, che molti altri ne esistano. A me spesso sembra ancora, però, come quando ero ragazzina, che la ginestra non possa che essere un fiore-donna.

Attraverso il finestrino di un treno in corsa, Giugno 2016

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