martedì 12 luglio 2016

Ciò che perdiamo, ciò che resta.

Pontremoli dalla finestra del Castello del Piagnaro, luglio 2016
Oggi è stata una giornata rovente e avrei ancora tante di quelle cose da sbrigare che solo a pensarci mi sento male. Ho deciso di ignorarle e di mettermi a scaricare le foto scattate domenica scorsa in un luogo per me pieno di memorie, ma riordinandole mi è venuta voglia di scriverne.

Pontremoli, verso il Castello, luglio 2016
Pensavo, infatti, che in questi ultimi anni la mia vita è stata costellata di molte perdite. Non vedrò mai più certe case, certi mobili, certi quadri alle pareti, certi anditi scuri. Non vedrò mai più certe persone care, non intreccerò più parole e risate con loro, non condivideremo del buon cibo o del buon vino.

Pontremoli dal Castello, luglio 2016
Non ci sarà mai più, ad attendermi, la mia cara Sibilla dalle lunghe vibrisse, dopo tanti anni in cui è stata testimone paziente della mia vita, né la piccola Margot che mi aveva un po’ consolato della sua perdita.

Il verde tenero di una cupola tra il grigio dell'ardesia dei tetti
Domenica mi trovavo a Pontremoli, nei luoghi dei miei nonni paterni e di mio padre, e perciò anche di molte gite dell’infanzia. Ci arrivavamo con la 600 e poi con auto più grandi, ma durante il lungo viaggio i miei finivano prima o poi, immancabilmente, per discutere di quell’abitudine al vino e al brindare con ogni possibile pretesto, caratteristica della Lunigiana, che mia madre aveva un po’ in uggia. Soprattutto ai bambini no. Diceva. E anche tu non esagerare. Diceva. Ma lui, appena entrato nel territorio che sentiva suo, tornava a essere uno di loro e in ogni casa di amici o parenti in cui entravamo era tutto uno stappare rumoroso e allegro di bottiglie.

Attraversando ponti antichi, Pontremoli, luglio 2016
Ho ritrovato ogni cosa, muovendomi quasi con circospezione e con tutti i sensi allertati, olfatto e tatto compresi.

Pontremoli, luglio 2016
Le pietre nere, i tetti di lastre di ardesia sovrapposte, l’acqua zampillante e fresca, i muretti, i torrenti, quella torre campanaria che i miei nonni chiamavano, come tutti in zona, “il campanone”, il duomo con i suoi ricami di verde chiaro e d’oro, i vicoli stretti e bui, gli archi, i vecchi lampioni, la salita erta verso il castello del Piagnaro, i filari di viti quasi dentro l’abitato, visibili da ogni affaccio, così come gli antichi alberi di fico.

Il Campanone con il suo orologio. Da bambina mi sembrava altissimo.
E poi i ponti romani o medievali, dalle lunghe forme sinuose e l’acciottolato ostile del pavé grigio.


Ogni volta che  venivamo mio padre si fermava alle fontane per bere e poi inneggiare alla freschezza e al sapore di quell’acqua.

La fontanella, Pontremoli, luglio 2016
Ho fatto anch’io così, domenica, riempiendo a più riprese una piccola boccetta da tenere nello zaino. Brava, fai bene, senti com’è buona? Mi sembrava quasi di sentirlo sussurrare con quell’inflessione sua caratteristica che un po’ aveva mantenuto la dolcezza del dialetto di quelle zone di conquista, attraversate da eserciti diversi e soggiogate da re e imperatori.

Pontremoli, luglio 2016
Pensavo a quante lingue dovevano avere risuonato tra quelle pietre, arrampicandomi sotto la calura, per la salita ripida che porta in alto, al castello, e ancora entrando nelle sale nere del museo e lasciandomi affascinare dalla pietra ocra delle stele.

Stele maschile (ha il pugnale), Pontremoli, luglio 2016
Stra
ne creature di arenaria, le stele. Effigi di morti, oppure indizi per l'orientamento del viandante o ancora figure di divinità dimenticate. Sibilline e misteriose.



Stele femminile (ha il seno)
Emerse quasi per loro scelta da un passato arcaico, nascoste sotto la terra e silenti per secoli, per sfuggire alla furia religiosa che le avrebbe distrutte come testimoni odiati di riti pagani e credenze mai del tutto dimenticate anche se sconfitte e messe in ombra dall'ascesa della nuova religione.




Più tardi, togliermi i sandali e camminare nell’acqua fredda del Magra, giù, in basso, è stato come salire nella macchina del tempo e nel mistero delle cose perdute che riaffiorano all'improvviso e inaspettate dal passato, proprio come le stele.

L'acqua scorre veloce e indifferente. Fiume Magra.
Tanti anni sono passati dalle infanzie estive con i nonni e i loro fratelli e sorelle, eppure sembra ieri. Le cose perdute possiedono dunque una casa, un luogo che le accoglie e custodisce gelosamente, mentre le esperienze che sappiamo lontane vivono ancora in un loro presente, da qualche parte, proprio dentro di noi.

Ponte antico e fiori, Pontremoli, luglio 2016

































L'interno del Duomo, Pontremoli, luglio 2016
Particolare del portone del Duomo. Da piccola mi pareva di avere davanti un enorme album di fumetti con le storie sacre.






La vite, ovunque. Simbolo di vita "spiritosa".
Salendo al Castello. Dopo la calura l'ombra, finalmente



Nel castello








Il Magra.








Osteria per finire con i testaroli al pesto.
La luna, il lampione, la malinconia.

La luna soltanto, salutando un'altra volta.

1 commento:

  1. foto bellissime! I distacchi, le cose che finiscono, che cambiano, sono una componente della vita. IO penso che non finiscano mai definitivamente, sono tanti bagagli disposti nelle stanze del nostro cuore e nella soffitta dei nostri ricordi.

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