domenica 31 gennaio 2016

Famiglia: ma cos'è, davvero?

Foto di famiglia patriarcale trovata in rete
La famiglia nucleare - due adulti e due o tre bambini, ma meglio due - presentata da alcuni come "naturale", è un modello relativamente recente.
Cos'è la famiglia? E' un insieme dato dalla somma di componenti prestabiliti con ruoli fissi e non intercambiabili e gerarchie di varia natura o è, invece, una piccola comunità di persone che decidono di condividere un progetto di vita? E per definire tale aggregato non occorre forse considerare prima di tutto il modo di stare insieme, bello o meno bello, improntato a solidarietà o a rancore, a tenerezza o a invidia e competizione?

Foto di famiglia patriarcale trovata in rete
E' un contesto dove sono banditi i conflitti, come vorrebbero le pubblicità del tipo mulino bianco, dove tutto è rosa e turchese e la musica di sottofondo è uno stucchevole e dolce fluire di facili armonie? O è invece il luogo dove i conflitti non si negano, ma nel quale si impara ad attraversarli nella maniera più civile e dialogata possibile? Padre, madre e due figli, magari uno maschio e uno femmina, è davvero il modello naturale della famiglia?


Foto di famiglia patriarcale trovata in rete
Dopo la morte della mia nonna paterna mio nonno e il figlio più che adulto e single convivevano: quella, allora, non era più famiglia? E' solo un esempio, quest'ultimo, ma me ne vengono in mente moltissimi altri che non sto a elencare e anche in questo modo molto empirico, senza bisogno di fare ricorso alle fonti storiche e antropologiche, che pure sono abbondanti e convincenti, si vede che praticamente la patinata famiglia a quattro, mostrata come perfetta, è solo un tipo di possibile convivenza intima.


Foto di famiglia patriarcale trovata in rete
C'è poi un'altra empirica osservazione che genera una domanda banale e illuminante: che cosa si deve pensare della famiglia a quattro membri, dueadulti&duefigli che sembra la formula del menu scontato all'autogrill, quando al suo interno si consumano violenze fisiche, abusi, sopraffazioni e a volte, persino, qualcuno uccide qualche altro? 



Foto di famiglia patriarcale trovata in rete
Sono andata a cercare un appunto scritto nel 2012, pochi mesi dopo la morte di mia madre, nel quale mi interrogavo, proprio a partire da quella perdita, su cos'è che si può intendere per "famiglia". L'ho riletto e mi sembra la cosa più sincera e meno astratta che posso scrivere per commentare il family day di ieri. Lo trascrivo così com'è.

Foto di famiglia patriarcale trovata in rete

Siamo quattro e ognuno vive in una diversa città. Uno di noi al di là di un mare. Facciamo qualche volta discussioni che sembrano litigi e non lo sono per davvero. Ci accaloriamo come fossimo Ministri di un fantomatico Governo del Mondo su questioni vitali o di poco conto allo stesso modo; per esempio sulle pale eoliche poste nel dorso delle colline dell’infanzia, ma su qualsiasi atro argomento ci venga in mente quando ci vediamo.

La grande famiglia allargata al pranzo di Natale
Questa e le successive immagini sono tratte da "Fanny e Alexander"
Da pochi mesi, da quando nostra madre non c’è più, noi quattro ci ritroviamo, senza dircelo con parole, avvolti nella stessa sensazione di disorientamento. Così ci muoviamo tra stanze e oggetti improvvisamente muti; ora sono loro a interrogare noi sul perché e sul senso invece di rassicurarci. Cos’è “famiglia”? Mi chiedevo ieri sera pensando a questo.




Fin da quando ero studentessa di liceo ho sempre pensato che il matrimonio di per sé non garantisce niente, né la durata né il coinvolgimento autentico; non di rado serve, anzi, per iniziare un percorso piuttosto catastrofico di nascondimento delle ombre. Nemmeno essere fratelli o sorelle di per sé garantisce la qualità del rapporto.



Anche quando il legame è di sangue bisogna continuare a riconoscerne il seme, il frutto e il fiore, a non darlo mai per scontato, a scoprire ciò che divide e ciò che rende simili; a regalare, infine, la sincerità dello sguardo e della parola.



Cos’è “famiglia”? Ieri sera me lo chiedevo ascoltando uno dei miei fratelli suonare, osservando le sue mani sui tasti bianchi e neri, come tante altre volte a casa o fuori, e i suoi piedi sui lunghi tasti di legno alla base dell’organo. In Italia purtroppo non si usa, anche se è un’antica tradizione, ma all’estero sì e a lui piace farlo: improvvisare, alla fine di un concerto, su un tema dato da un altro.



Così lo osservavo mentre suonando metteva in dialogo gli opposti: il morbido e il duro, il rotondo e lo spigoloso, il dissonante e l’armonico, il delicato e il fragoroso e intanto pensavo che faccio lo stesso con le mie ricette di cucina improvvisate, ma anche, in una dimensione considerata più nobile, con i temi sui quali ragiono e studio tracciando legami paradossali tra territori semanticamente distanti.



La fragilità che può essere forza, la solitudine che è base per la relazione, la creazione che è del singolo, ma nasce dal dono che ha ricevuto da altri e ancora di questo passo. Siamo uguali in questo – mi dicevo ascoltandolo suonare - eppure siamo molto diversi; e mi sembrava di capire cos’è famiglia.



Pensavo anche alla generazione di mia madre, così distante dalla mia, e a lei così lontana, ma così vicina insieme; pensavo al nostro diverso modo di interpretare l’essere donna; perché nonostante la differenza di personalità e di idee, è lei che mi ha insegnato la fierezza e l’importanza, proprio per una donna, dell’autonomia materiale e di giudizio.



No, non c’è bisogno di un contratto per sapere cos’è famiglia; anzi, il bisogno di ratificarlo in fretta e di esibirlo al mondo, quel tipico e ripetitivo mostrare sempre quanto ci si ama e si sta bene insieme, sembra che serva per rassicurare se stessi mentendo a se stessi e assomiglia, a volte, a una dichiarazione di sconfitta. 

Nessun commento:

Posta un commento

Scrivere in un blog è come chiudere un messaggio in una bottiglia e affidarla alle onde. Per questo i commenti sono importanti. Sono il segno che qualcuno quel messaggio lo ha raccolto. Grazie in anticipo per chi avrà voglia di scrivere qui, anche solo e semplicemente per esprimere la propria sintonia emotiva.