mercoledì 25 novembre 2015

L'amore, la violenza, l'amore.


Abbracci e baci secondo Rodin
25 novembre: giornata contro la violenza su noi donne. Ogni anno mi pongo il problema se scriverne o no, perché non mi piacciono i rituali che lasciano tutto immutato. Poi, alla fine, non riesco a non farlo. C’è la violenza del sangue, che lascia senza fiato. E c’è la violenza subdola, quella che si annida anche dove sembra ci sia bonaccia e niente lascia presagire tempeste.

Abbracci e baci secondo Klimt
Gli uomini non sono tutti uguali, amiche mie. E credo che sia arrivato il momento di rivolgerci anche a loro, di discernere quelli che sono in grado di amarci, di avere una relazione con noi che sia un dialogo, un concertato musicale, da quelli che invece sono capaci di mettere in scena solo il monologo del Pigmalione che pretende di definirci.

Abbracci amorosi secondo Tamara de Lempicka
E’ il momento di stringere un’alleanza con quelli che non desiderano possederci, ma conoscerci, giocare con noi alla pari, sostenerci per essere a loro volta sostenuti. A me piacciono gli uomini forti davvero, che sono quelli che sanno piangere e ammettono di avere sbagliato, quando hanno sbagliato, o di avere paura, quando hanno paura.

Ancora abbracci e baci secondo Klimt
Io non potrei amare mai i codardi da tre soldi che fanno i gradassi e fuggono, quelli che si spaventano di fronte a una donna che non si sottrae al confronto o che sa badare a se stessa.


Amiamo gli uomini che ci sanno amare, amiche mie, non quelli che comprano la nostra dipendenza, come al mercato! Metto immagini di abbracci e di baci per combattere la violenza. Lo so, sembra banale, ma a pensarci bene davvero non lo è affatto. Perché spesso siamo noi, uomini e donne, a rendere la nostra vita più brutta e noi stessi più infelici.

martedì 24 novembre 2015

Di zucche, di carrozze e di fantasie.


"(...) la vuotò, e quando non fu rimasta che la sola scorza, la percosse con la sua bacchetta, e la zucca fu subito mutata in una bella carrozza tutta dorata"
Ogni volta che ne vedo una resto affascinata e lo stesso mi capita con i cavoli, che trovo bellissimi.


Ma la zucca ha qualcosa in più, perché mi evoca subito la fiaba di Cenerentola, lo sfavillio del ballo del principe, la scarpetta di cristallo, il valzer brillante che ti fa girare tutto, attorno, soffitto e pavimento; e gli incantesimi della notte; e qualche volta fa tornare dal passato anche la voce antica di mia nonna Maria, che era così brava a raccontare le favole e quando erano esaurite a inventarne, ampliando il suo già abbondante repertorio. 


Poi c'è quel colore arancione, ci sono quei semi d'oro nel suo cuore grande di ortaggio mutevole, che può assumere le forme più strane e vestire la propria scorza di mille colori, ibridandoli  e picchiettandoli. Non potrebbe non piacermi, la zucca.



Come molti altri nel fine settimana sono andata a San Miniato, perché amo i tartufi; e così mi sono divertita ad assaggiare di tutto un po', purché tartufato. Passeggiare per le vie piene di bancarelle nei giorni del tartufo è un po' come visitare un museo olfattivo.



Si è sollecitati da un misto di profluvi di salumi, di formaggi, di impasti spalmabili colorati, ma anche di mieli e di dolci fino a che ci si sente perduti, vinti, preda di un languore sfinente. Insomma, per farla breve, alle 12.30 ero già in pole position per il pranzo. Più che in pole position in fila, ma per quelli che si sono decisi dopo è andata molto, molto peggio! 



Alla fine, però, le foto le ho scattate a ciò che non c'entra niente con il tartufo e cioè le zucche, i cavoli, i peperoncini e certe foglie arrampicate su un muro antico, di un rosso e fucsia così intensi che sembravano quasi artificiali; con la sensazione vivissima di essere stata improvvisamente catapultata in un cartone animato.



Da piccola usavo molto, con le mie amiche, fiori e foglie per giocare. Servivano per fare collane e orecchini o per inventare abiti ricamati e andare a quello stesso ballo di Cenerentola. Il rischio che tornassero a essere, ai nostri occhi, semplici petali o foglie o stecchi era connaturato all'idea che diventare adulti volesse dire disimparare a sognare.



Per fortuna non è accaduto, almeno a me, e sono ancora qua a giocare con le foglie e i fiori e a scaldarmi il cuore con i colori caldi dell'autunno.



"Scrollati pianta, stammi a sentire
d'oro e d'argento mi devi coprire." 

              (Cenerentola dei fratelli Grimm)






















giovedì 19 novembre 2015

Io non voglio avere paura


Osservo con sospetto e rabbia l’attuale campagna mediatica sullo stato di guerra in cui ci troveremmo. La considero più irresponsabile e terrorizzante del terrorismo stesso. E’ con la paura, infatti, cioè facendo leva sulla più potente tra le nostre emozioni, che si crea terreno fertile per l’instaurarsi delle dittature. Crearla è il fine più importante delle azioni terroristiche consapevoli, perché la paura rende arrendevoli le persone, fiacca il loro spirito di resistenza e distrugge la loro capacità critica.



Molti dicono che siamo in guerra e lo fanno da opposte collocazioni politiche. Non sono d’accordo con nessuno di loro e trovo pericolosa questa affermazione. Noi non siamo in guerra, anche se vogliono indurci a pensarlo, finché la guerra non la dichiariamo; e che io sappia non l’abbiamo fatto (e spero che non lo faremo).



Il terrorismo è un fenomeno fisiologico della storia, attraversa epoche e culture diverse. A volte le azioni terroristiche sono opera di singoli e non hanno apparente motivo, come è accaduto nel 2011 a Oslo e Utoya, in Danimarca, dove un uomo da solo ha fatto fuoco su persone inermi uccidendone 70. Altre volte sono invece messe in atto in nome (o con il pretesto) di una religione o di un’ideologia.


Ogni giorno si compiono nel mondo guerre nelle quali perdono la vita moltissimi civili tra cui bambini e anziani.

Ogni giorno si compiono nel mondo anche attentati di tipo terroristico e i morti sono migliaia.

Tavola di Mino Manara su Piazza Fontana

E con che coraggio noi italiani parliamo di atti terroristici inusitati, che vengono da fuori, quando abbiamo avuto in casa - da pochi anni, rispetto ai tempi lunghi della Storia - la strage di Brescia e quella di Piazza Fontana e i treni fatti saltare in aria con il loro carico di vite umane, di affetti, di progetti spezzati?

Banca dell'Agricoltura, dopo.
Ancora, quando passo per la stazione di Bologna e specialmente se mi fermo per un cambio e leggo i nomi nella lapide commemorativa, vengo colta da una specie di malessere; come da un disagio profondo nei confronti dell’umanità.

Bologna, 2 agosto 1980
E quando il treno moderno, pinto e lindo, attraversa davvero come una freccia quella galleria lunga, da Firenze a Bologna, il cuore mi batte un po’ più forte e spesso interrompo quello che stavo facendo; ho un po’ paura; una paura irragionevole che il tempo si fermi di nuovo.




E se succedesse ancora? Credo che questo pizzico di paura irragionevole quando sono avvolti nel buio di quella galleria che sembra non finire più lo provino un po’ tutti quelli che hanno un ricordo diretto di quell'episodio; un atto terroristico tutto interno a noi, di italiani contro italiani, avvenuto in tempo cosiddetto di pace.


Ancora Milo Manara
L’anno scorso ho dedicato l’approfondimento del mio corso, cioè la sua seconda parte, proprio alle violenze collettive e agli atti terroristici, alle loro conseguenze psicofisiche sui sopravvissuti e sui testimoni indiretti; quindi anche noi, perché attraverso i video entrano nelle nostre quiete stanze le immagini e il sonoro di quegli atti.



Gli spari, le urla e il sangue accompagnano i pranzi e le cene di molti di noi e popolano gli incubi notturni di tutti. 
E’ questo lo scopo del terrorismo: terrorizzare, come banalmente ci suggerisce il termine. Le azioni omicide devono avere visibilità e suscitare identificazioni. Si deve avere paura  a uscire di casa, a prendere un treno, a visitare una mostra, a fare un gita in una città storica e persino ad andare in pizzeria.


V. Van Gogh, Campo di grano con corvi, 1890
Ci stanno riuscendo, ci terrorizzano con l’aiuto di giornali, televisioni e anche un po’ di quelli che scrivono che siamo in guerra e non si rendono conto che stanno facendo il loro gioco.
Penso che il terrorismo si debba combattere con due principali risposte: 
1) Mettere in atto azioni di pace cominciando dal terminare di vendere armi, tanto più in quei paesi che paradossalmente le utilizzeranno per colpire quelli in cui vengono prodotte. Chiudere traffici loschi e lucrosi commerci con dittatori e stati guerrafondai.
2) Non avere paura e non seminarla. Non perdere la capacità di ragionare, ma coltivarla. 

L'anelito alla felicità e il Fregio di Beethoven - Klimt
Non mi sento in guerra e voglio resistere a chi mi spinge a pensare che ciò che accade oggi sia improvviso o eccezionale per farmi perdere la capacità critica e rendermi prigioniera del terrore. Io non ho paura perché non voglio averla.

domenica 15 novembre 2015

Non trovo le parole


Robert Doisneau, L'ultimo valzer del 14 luglio 1949
L’ho saputo da un sms, di quegli spari e di quei morti, mentre tornavo a casa dopo una tranquilla cena da amici. Ho acceso la televisione, cosa che faccio di rado, e ascoltato immobile e silenziosa fino a tarda ora. Non sono riuscita a scriverne niente neanche ieri o oggi. Non ho trovato le parole ed è strano per una che ama giocarci e condividerle e che ne scrive molte, a volte anche solo per se stessa. 

Robert Doisneau, La cavalleria di Campo di Marte, Parigi
Avrei potuto dire delle armi e di chi le vende e di dove si fabbricano. Avrei potuto ipotizzare qualcosa sulle origini di tutta questa violenza e sulle sue diramazioni in molti rivoli paralleli, diversi dei quali quasi invisibili, forse perché le vittime ci assomigliano meno di queste ultime e chi vuole può ignorarle. Non mi è sembrato necessario. Non avrei convinto chi fin dal primo momento si è dedicato allo sciacallaggio e non avrei aggiunto niente per chi, invece, ha un punto di vista più affine al mio. Erano quasi tutti ragazzi giovani, si divertivano, erano andati lì per sentire la musica. Insensatezza: non ho trovato altre parole, nonostante avessi molte considerazioni razionali a disposizione.

Robert Doisneau (Non ricordo il titolo)
Insensatezza. Non ho trovato le parole, ma del resto mi capita sempre quando lo stupore dell’inimmaginabile sovrasta ogni altro sentimento e sembra quasi togliere il fiato. In fondo, poi, non c’è niente di diverso tra questo stupore e quello che proviamo quando nel nostro microcosmo irrompe il dolore inaspettato, la verità che non avresti mai immaginato e che sembra d’un colpo togliere di senso a molti anni di vita. Sono andata al cinema stasera e di questo parlava il film.



No, non della violenza collettiva, ma dell’insensatezza che arriva improvvisa nel proprio piccolo mondo intimo mostrando un’altra verità rispetto a quella in cui credevi e tutto sembra crollarti addosso perché non capisci, forse non sai più chi sei e se hai confidato in qualcosa che non è mai esistita.


E c’era quella canzone dei Platters come colonna sonora del film e qualcuno che cantava che no, non stava piangendo, ma era solo il fumo della sigaretta che faceva lacrimare i suoi occhi.


Guardo le vetrine di Corso Italia, sulla strada del ritorno. Quell’anticipo di bagliori natalizi, tra i manichini e i ninnoli, ha qualcosa di spettrale. Allora stringo i pugni in tasca e affretto il passo.