mercoledì 30 dicembre 2015

Riassunti: tra un anno che finisce e l'altro che arriva.

San Rossore - fine dicembre 2015
(questa e le altre foto)
Quando si torna in un luogo familiare nel quale non si è stati da un po' di tempo viene spontaneo fare il riassunto. Cioè un veloce riepilogo, partendo dalla prima volta che ci hai messo piede, dei fatti salienti o banali della tua vita ai quali quel luogo è servito da cornice.



Dunque, andando a ritroso nel tempo, il ricordo più lontano legato a San Rossore è associato al pronto soccorso.



Sì, perché la prima volta l'ho raggiunto di notte e in barca, via Arno, e lo so che era proibito, ma mi sembrava così romantico proprio per questo e avevo più o meno 18 anni. Fatto sta che sono finita in mezzo a un raduno di megazanzare fantascientifiche che hanno trovato particolarmente interessante il mio sangue. Per non rovinare l'atmosfera ho cercato per un po' di tenere duro, ma verso una certa ora la mia reazione è diventata abnorme con tanto di sintomi di soffocamento e il corpo ridotto a un Ecce homo o Ecce mulier che dir si voglia. Lo scivolamento dal romantico al tragicomico del pronto soccorso, dove, fra l'altro, non si poteva dire in quale luogo si fosse consumato l'incontro fatidico con le megazanzare, è stato davvero tanto inimmaginato quanto inopportuno.



Poi c'è stato il periodo delle partite a calcetto. I maschi giocavano e noi ragazze facevamo un blando tifo abbastanza disinteressato. Di tanto in tanto qualcuno dei maschi si faceva male sul serio perché il calcetto, se non si fosse ancora capito, è l'attività che più di tutte supporta l'esistenza degli ortopedici, dato che si coniuga con il non allenamento degli sportivi della domenica e con l'uso di terreni qualsiasi, di solito disastrati. Basta andare al pronto soccorso ortopedico di lunedì mattina e si capisce subito.



Comunque, a San Rossore, nel tratto che fai in auto ti perdi. Non c'è niente da fare. Vai sicura e poi ti trovi a rallentare mentre ti dici il solito ma dove cavolo devo girare per ritrovarmi qui o là o su o giù e ricordo bene quello steccato, quel cartello, quell'albero storto...



Ci puoi andare mille e mille volte e sbagli strada. Hai in mente un certo punto e ne raggiungi un altro e non si capisce perché la mappa mentale non corrisponda a quella che tracci con le ruote. Forse anche questo fa parte del fascino del luogo.




Ma continuando con il riassunto di vita poi c'è il ricordo dei primi attacchi di  selvaggiume (in termini non toscani, ma più scientifici, si tratta di Trombidiosi) per difendersi dal quale basta andare con pantaloni, scarpe da tennis e calzettoni alti.



Quando san Rossore lo frequentavo con mio figlio piccolo, infatti, gli coprivo bene piedi e gambe e lui il selvaggiume non l'ha mai preso, né mai più io, dopo le prime volte. Insieme abbiamo avuto la fortuna di vedere i cinghialini  e la fortuna doppia di non capitare vicini alla loro mamma che avrebbe potuto risentirsene...



I riassunti più recenti sono le passeggiate di coppia e di doppia coppia, le biciclettate di gruppo, le confidenze di amiche tradite in amore e i relativi lunghi pianti, che tanto, i pini, non lo raccontano a nessuno, le merende, le grigliate e negli ultimi anni anche qualche occasione di lavoro.



Da sola ci sono andata tante volte, nel tempo, a pensare e a prendere decisioni di quelle difficili.



Ti pare sempre di scoprire nuovi angoli e pensi che sei lì per la prima volta e fai finta di crederci, e mentre sai che non è vero li fotografi come se fossi in gita all'estero.




Significa che qualcosa di magico c'è, in quel luogo. Perché di certo qualcuno sposta alberi e fronde e ti cambia lo scenario come a teatro e poi, a vederti così stupita e confusa, chissà come si diverte! La vita che scorre. Il teatro, il sipario che si apre, il tempo, che tieni tutto dentro di te e a volte sembra un solo attimo che si dilata all'infinito. Un anno sta per finire e arriva l'altro, quello nuovo. Io sono pronta.







martedì 29 dicembre 2015

Nebbia 2


Ieri l'ho attraversata in un'ora inconsueta di tarda mattina. Inconsueta, magari, non in altre zone, ma qui in Toscana di sicuro. Andando al mio paese, infatti, so che nebbia e ghiaccio sono in agguato la mattina presto o la sera quando già è buio.


Non si vedeva niente ed era desolante dover viaggiare così lentamente e in allerta. Tanto più che l'umidità visiva sembrava quasi tradursi in una specie di umidità triste del cuore.



Dopo il tratto più duro, però, improvvisamente, con la salita, la nebbia ha smesso di avvolgere il mio piccolo gusciomobile e mi sono ritrovata fra raggi di sole a guardarla dall'alto.



La nebbia mi è sembrata meravigliosa, vista così, tanto che ho dovuto accostare e cercare, con un risultato assolutamente al di sotto della realtà, di fotografarla. 


E' stato un po' come guardare la paura o il dolore da lontano, sentendoli familiari ed estranei nello stesso tempo; sapendo bene che bisogna lasciarsene avvolgere per un po', per poi riaprirsi al sole.


sabato 26 dicembre 2015

L'ironia ci salverà.



Tornanti, strade strette e scoscese, aridità, polvere, vestiti laceri, fame, paura, odore di morte; se non bastasse tutto questo c'è anche la minaccia delle mine che rende ogni cosa o luogo inaffidabili mentre l’acqua, il bene primario per la sopravvivenza, è trasformata in strumento di ricatto. E’ la guerra, baby.


La guerra vera, non quella della playstation o edulcorata dagli schermi televisivi; la guerra vera che non risparmia niente e nessuno e che fa diventare tutti egoisti e cattivi, ognuno identificato con il proprio aggressore. 



Persino i bambini si dividono rigidamente in gerarchie di prepotenza; a 10 anni puoi usare violenza su bambini più piccoli per derubarli e a 14, quando ormai sei adolescente, puoi rifarti su bambini di 10 anni e così via. Non è per il bottino misero – nel film è un pallone da calcio mezzo sgonfio – ma per il principio.




I gruppi, le piccole comunità, i microcosmi, rispecchiano sempre qualcosa di più grande, un intero mondo, perché li unisce il comune sguardo sulle cose e la concezione che si ha dell’esistenza. Si può ridere o fare dell'ironia in situazioni drammatiche? La risposta negativa o affermativa a questa domanda traccia una linea di confine tra due diversi modi di considerare il rapporto tra gioia  e dolore e la vita stessa.



Si può scherzare con la paura, con il dolore, persino con la morte? Io penso di sì, che si possa farlo.  Credo che il film mi sia piaciuto in primo luogo per questo. Perché fulcro del film  è l’ironia, senza la quale la stessa intelligenza risulterebbe inservibile e arida. 




E' l’intelligenza emozionale, non quella formale e astratta, che ci aiuta ad attraversare i terreni minati della vita convivendo con la paura, con il dolore e con la nostra fragilità. E proprio l’ironia, anche quella rivolta su se stessi, è la sua arma più potente.

giovedì 24 dicembre 2015

Buon Natale


Il ponte lo attraverso tutti i giorni, più volte al giorno ed è sempre diverso. La maggior parte delle persone passano veloci, a meno che non siano turisti, e allora si fanno il selfie con il bastoncino apposito; ma nemmeno loro guardano davvero quello che considerano soltanto uno sfondo, poco più di una cartolina.


Eppure, è buffo, i colori dell'acqua e delle case che vi si specchiano mi sembrano cambiare sempre; cioè non solo, com'è ovvio, per l'ora e le stagioni, ma anche per i miei stati d'animo. Ecco, per esempio, la foto d'inizio post: tutto grigio, cielo e acqua, e arancioni e d'oro le case. Corrispondeva esattamente ai colori che avevo dentro nel momento in cui attraversavo il ponte, pochi giorni fa, e al loro contrasto. Perché le cose, come le persone, sono anche ciò che il nostro sguardo permette loro di essere. 



L'acqua scorre veloce e certe volte e ti dà la vertigine guardarla. Altre volte lo fa lentamente, con un rumore sommesso che sembra quasi una nenia antica e allora anche tu rallenti il passo.


Questa e le successive immagini sono tratte da "La strada"
di Federico Fellini e c'è un motivo che si capisce dopo.

Natale. Non sei credente, ma è Natale anche per te, ogni anno, in qualche strano modo. Li guardi in faccia gli altri. La vigilia fanno grandi cene.



Da noi non usava. Nella mia famiglia si andava alla messa di mezzanotte, alla luce fioca dei pochi lampioni, su per la salita fatta di grandi pietre di selagite. Quasi sempre c'era la neve, alta ai bordi dei camminamenti. Quasi sempre indossavi qualcosa di nuovo, cappottino o scarpe, a volte solo guanti o un cappellino; e il fiato disegnava un pulviscolo d'argento nel blu scuro della notte.




In chiesa il sipario si apriva su un gran brillare di luci e canti. Ti sentivi comunità. Molto dopo la mezzanotte tornavamo a casa, ma a letto non dormivamo. Pensavamo alla mattina dopo, ai regali infiocchettati, alla tavola imbandita, ai dolci che venivano preparati da qualche giorno prima, ai giochi e ai racconti del dopo pranzo fra noi bambini, sulla piazza del piccolo paese.


Il Natale mi ricorda sempre più spesso ciò che non c'è più e per questo, ieri sera, ero molto malinconica. Mi sono messa a leggere qualcosa in rete per non pensarci e il caso mi ha portato, attraverso un'articolazione di link e cliccamenti che non so ricostruire, a leggere in un ebook le parole di una mia amica (e di altri) dedicate a sua madre.


Ho riso e mi sono commossa leggendola. Un po' perché è una mia amica e pensavo a lei, comprendendo ancora meglio il suo modo di essere, un po' perché sua madre assomigliava, con le dovute differenze di storia personale, alla mia. E  per l'appunto era a mia madre, anche, alla sua assenza, per Natale, che pensavo ieri sera con tanta malinconia.


Eppure, nel silenzio della casa e nella notte, mi sono arrivate non so più come quelle parole che mi hanno scaldata.




C'è una catena biopsichica che lega le persone attraverso il tempo e lo travalica. Ci sono nuove nascite e per ogni nuova nascita qualcuno che se ne va, ma ci resta vicino in modi diversi. Abita dentro di noi.




Natale: forse ci ricorda semplicemente che non vogliamo essere seriali, interscambiabili, ma unici, per le persone alle quali siamo legati. Cos'è l'amore, nei suoi diversi volti, ce lo insegna Gelsomina. 

Ma che faccia buffa che hai! Ma sei sicura di essere una donna? Sembri un carciofo.


Vestita di stracci, buffa e piccola di fronte a Zampanò e alla sua rudezza. 

() Tu non ci crederai, ma tutto quello che c’è a questo mondo serve a qualcosa. Ecco, prendi quel sasso lì, per esempio…
Quale? 
Questo … uno qualunque. Ecco, anche questo serve a qualcosa, anche questo sassetto.
E a cosa serve?
Serve … ma che ne so! Se lo sapessi sai chi sarei?
Chi?
ll Padreterno che sa tutto: quando nasci e quando muori. Non lo so a cosa serve questo sasso io, ma a qualcosa deve servire. 



Perché se tutto è inutile, allora è inutile tutto. Anche le stelle. Almeno credo … 


E anche tu. Anche tu servi a qualcosa, con la tua testa di carciofo

Mani troppo piccole, volto buffo, disturbata, cenciosa, ma capace di vedere l'invisibile. E' la cosa più difficile: guardare oltre le parole, immaginare i propri sogni e coltivarli, sentirsi unici e insostituibili, almeno per qualcuno. 
Buon Natale!