lunedì 11 agosto 2014

Il cielo, una sera.



Domenica. Sono arrivata in una ridente cittadina balneare alle 11.45 e ho cominciato a cercare il parcheggio. Niente vicino, niente a 500 metri, a 800, a un chilometro…Ci sarebbe il garage, ma l’entrata è storta, in discesa, irregolare e stretta. Per di più ci sono le macchine parcheggiate sull’altro lato della strada e rinuncio. Alla fine parcheggio molto lontano e per un terzo di auto mi dispongo sull’avanzo del posto occupato da un’altra, per due terzi dove non si potrebbe. La ricerca dura il doppio del tempo impiegato ad arrivare.


D'estate, qui, tantissimi si trasferiscono in un garage o in un casotto in giardino, s'intende docciabidéwaterfornellomuniti, ma per solito senza finestre, per affittare l’appartamento ai villeggianti. Però, ora, non c’è casa che non esponga il cartello con scritto “Affittasi nei mesi estivi”; e siamo al 10 di agosto.



E’ la crisi, ma sono anche i prezzi alle stelle di questi affitti estivi e l’uggia, forse, di questa anarchia arraffatrice che si esprime nel rosario dei cartelli di passo carrabile ai quali si affiancano quelli, chissà se legali, con scritto “proprietà privata non parcheggiare davanti” (???) e poi gli oggetti atti a impedirlo dove non ci sono cartelli: biciclette, tricicli, il cane di casa, una scala, il tosaerba, la nonna in poltroncina come un soldato di guardia nella sua garritta, un tavolino pieghevole aperto; insomma: qualsiasi cosa atta a occupare lo spazio.


Lascio la mia auto al suo destino, sperando che i vigili non passino di lì. Per tutto il giorno non faccio altro che incontrarne, a piedi o in auto, seguiti da un carro attrezzi carico  o in attesa di fagocitare qualche malcapitata vettura. Incrocio le dita e metto in atto tutti gli scongiuri possibili, a parte, s’intende, quelli tipicamente maschili di toccarsi gli attributi cosiddetti nobili, che ovviamente non possiedo.


Vado in pineta. Solite scene di picnic familiari chiusi. Posso testimoniare, negli anni, che fin dal mattino presto i tavoli di legno vengono presidiati da un componente della famiglia che non ama il mare e che sta lì a fare la guardia a panieri di roba in attesa che gli altri (e lui con loro), come cavallette, facciano fuori il frittame e il lasagnato. Tutta roba che rimarrà, come un macigno, a occupare i loro stomaci fino al crepuscolo.


Nel dopopranzo, infatti, li vedi sdraiati e non molto felici in balia del frinire delle cicale. Resi immobili dall'immane fatica digestiva muovono solo la mano, di tanto in tanto, per scrollarsi di dosso qualche formica in cerca di briciole. La pineta sembra un enorme condominio con le pareti di vetro. Nessuna socializzazione, nessun piacere di essere con gli altri, ma, anche in questo caso, solo la frenesia ansiosa dell’occupazione di suolo.


Poi, a sera, torno al parcheggio e vedo da lontano che l’auto, miracolosamente, c’è ancora. Allora mi accorgo del cielo. E’ bellissimo! E' tutto un tripudio di di rosa e celeste, di grigi e di varie gamme di luce. Anche per tutto il viaggio non faccio altro che guardare le nuvole, sempre più scure mentre si fa notte. 



La musica, il nastro grigio dell’asfalto e lassù, lo spettacolo. Vedo infatti passare nel cielo treni, greggi, orsetti, pesci, mongolfiere, delfini e persino uno struzzo; tutti di cotone, creati da chissà quale artista. Mi sento bene e canto anch’io, usando impropriamente la musica di Prokofiev, che dalla radio inonda l'abitacolo, come fosse un karaoke e inventando parole a caso, mentre guardo i cirri ormai neri nel cielo blu. 




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