martedì 22 aprile 2014

Due coccinelle e un mazzo di chiavi.



Ieri sera. Sono al cinema e non sicura che il film mi piaccia davvero - c'è una sovrabbondanza di temi che crea una sensazione di artificio e forzatura - ripenso, per contrasto, agli ingredienti semplici della mia pasquetta 2014. E’ dalla mattina che piove e non piove. Ci sono i panni stesi, lì dove mi trovo, ed è tutto un accorrere per levarli e rimetterli. Intanto, poco sotto, il fiume scorre lento e pacifico; ed è lo stesso fiume che poche settimane fa ha messo in scacco la città intera.


Mi avvicino all'argine. Le acacie sono tutte fiorite di bianco e profumano di quel loro odore penetrante che mi ricorda certe antiche confidenze. Quando arrivava la bella stagione, infatti, nel primo pomeriggio noi bambine ci ritrovavamo spesso sotto l’ombra discreta di quelle quattro o cinque piante di acacia che erano a lato della mia casa.



Sul lungo tavolo sotto il porticato sono disposti i cibi preparati un po’ da ciascuno e raccontano storie e tradizioni diverse. Mangiando ci si scambiano ricette, si prova con poco successo a pronunciare i nomi delle pietanze non italiane e si ride, tra un bicchiere di vino e l’altro, perché l’amicizia è anche questo e che sia o no di lunga data non fa differenza.



Mi sposto di nuovo sull'argine e mi fermo pensosa sotto le larghe foglie di un fico. Il fico è uno degli alberi che mi piacciono di più: antico, nodoso, con quelle foglie scure e generose e i rami grigio chiaro. Poco più avanti il sentiero è incongruamente interrotto da una solitaria e rigogliosa pianta di carciofi, improbabile e imprevista.


Non ho le scarpe adatte, dato che la passeggiata non era calcolata per via del tempo, e così scivolo più volte scendendo i piccoli scalini ripidi che portano più vicino al fiume.


E’ tutto un ricamo di fiori di campo gialli, bianchi, azzurrini.


Ci sono i "soffioni", cioè la trasformazione del fiore di Tarassaco officinale, dal caratteristico colore giallo brillante, in una sfera effimera e trasparente di semi, destinati a essere dispersi facilmente sul terreno. Basta un piccola brezza o il gioco inconsapevole di un bambino che soffia con tutta la sua forza e loro planano giù, volteggiando e danzando nell'aria, perché sono fatti e funzionano come tanti piccoli paracadute. Li conoscevamo bene da piccoli. I loro fiori, chissà perché, avevano un nome volgare che ricordava a noi bambini una leggenda: raccoglierli significava fare pipì a letto la notte successiva. 



E c'è anche un quadrifoglio, ma non sono io a raccoglierlo. Il piccolo portafortuna verde rende felice una bambina e subito la incoraggiamo a seccarlo tra le pagine del diario di scuola e poi a conservarlo da qualche altra parte.



Quanto a me, anch’io ho preso qualcosa prima di andare via: un mazzo di chiavi per una brevissima fuga, in un altrove, dalle fatiche di questo periodo. E poi sono anche riuscita a fotografare l’amore primaverile di due coccinelle rosse, nel verde di una foglia lanceolata.










1 commento:

  1. Ottime foto. Sembrano scattate da una professionista con un macchina professionale. Quella delle coccinelle poi... così a fuoco! Brava!
    Il soffione (insieme con il papavero) è uno dei miei fiori preferiti. Il mio primo blog (ormai 7 anni fa) si chiamava infatti Dandelion.
    Invece le acacie mi ricordano una frittata. Molte primavere fa raccogliemmo molti fiori d'acacia lungo la Vecchianese e poi li portammo a casa e una mia amica ci preparò una ottima frittata.

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