martedì 11 marzo 2014

L'amore è una speranza



Innocenza e colpevolezza sono condizioni sulle quali ci interroghiamo tutti i giorni in riferimento alla nostra piccola quotidianità, a un figlio o a un genitore che ci sembra, a volte, di avere deluso o a un amore finito. Anche la punizione e la rabbia che la determina sono esperienze con le quali ci troviamo costantemente a fare i conti. Il desiderio di fuggire accomuna chi è rinchiuso in un carcere fatto di sbarre e cancelli e chi se ne costruisce da solo di altrettanto pesanti, sebbene invisibili.


Il tempo, in carcere, è definito dalla discontinuità che è infatti la misura dei luoghi estremi. C’è la lentezza esasperante della sospensione di libertà, dunque dell’assenza di imprevisti, di stupore, di cambiamento, ma con improvvise accelerazioni angoscianti come quando il cuore si mette a battere all’impazzata. Il tempo, in carcere, deve essere lo stesso eterno presente della follia, l’attimo dilatato all’infinito, legato al ripetersi di stereotipie gestuali o mimiche e all’incessante dondolamento del busto su se stesso. Ed è proprio il carcere la cornice del film che ho visto. Un film che parla anche di sogni infranti e di ideali traditi.


Non ero di umore malinconico, stasera, eppure mi sono emozionata molto e in certi momenti le lacrime mi rigavano inarrestabili le guance. Mi vergognavo all’idea di essere vista, ma asciugarle sarebbe stato peggio e quindi mi sono lasciata andare; e ho continuato anche dopo, camminando da sola per una via San Martino deserta e tiepida, piena di profumi primaverili. 
Saranno state le scene iniziali, già così belle, in quel loro essere indefinite  e imprecise, quasi mosse e cangianti come un sogno del primo mattino carico di presagi belli o brutti per il giorno che sta per sorgere. Sarà stato il suono del violoncello, protagonista quasi assoluto della colonna sonora, composta da Shigeru Umebayashi che è autore anche di quelle di altri film che ho amato. Oppure il personaggio di lei, che per certi tratti, per come è stata rappresentata, ho sentito in più momenti vicina al mio modo di essere.


Sarà stata l’innocenza fedele dei suoi cani e il suo modo di abbracciarli, di sussurrare loro parole un po’ sciocche; o il loro sguardo consapevole e profondo di fronte al dolore. Sarà stato anche il fatto che a un certo punto, quando lei chiede a un amico che cosa sia per lui l’amore, lui risponde che l’amore è una speranza e a me è sembrata una definizione bella e coraggiosa di fronte ai troppi, e razionalmente condivisibili e perciò scontati e banali “non si può dire cos’è l’amore”.  Non troverà più l'amore, lei, o comunque ne è convinta; e questo spiega tutto, cioè il finale del film, uguale alla fine della storia vera che racconta. Ma io, invece, vorrei fare mia quella definizione dell’amore aggiungendo qualcos’altro. Vorrei dire, ecco, che forse l’amore, per ciò che possiamo afferrarne, è una speranza resa viva e palpitante dal coraggio.






Il film è “Come il vento”, di Marco Simon Puccioni; è uscito a Novembre e, leggo, è stato proiettato in pochissime sale.

3 commenti:

  1. Film intenso,emozionante....come il tuo commento che condivido totalmente!

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  2. Non è poi così importante sapere cosa sia l'amore, riuscire a definirlo. Molto più bello riuscire a viverlo, a goderlo. E, a proposito di godimenti, stasera mi son goduto un film dolce-amaro on-the-road, sulla vecchiaia e sui sentimenti padre-figlio. In un bianco e nero un po' sgranato e molto coinvolgente. Nebraska.

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    1. Un film molto bello, è vero. L'ho visto un po' di tempo fa e mi è rimasta per giorni, addosso, un'impressione profonda di dolcezza.

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