martedì 25 marzo 2014

Io, me e la politica


Emmeline Pankhurst 
La riflessione nasce da un pretesto di per sé piccolo fino all’insignificanza, ma si allarga al senso del mio distacco attuale dalla politica così come è diventata. Ecco il pretesto piccolo. Qualche giorno fa ho letto sulla bacheca di facebook di una persona che stimo una notizia che so non essere del tutto vera; cioè  non essere così come viene presentata. E' una notizia trasfigurata fino a stravolgerne la natura e il senso, con dettagli assolutamente di fantasia e con forzature create attraverso giochi verbali. Si sa: basta cambiare o togliere una preposizione, omettere una virgola, sostituire un segno qualsiasi di punteggiatura e il senso di una frase può rovesciarsi completamente.



Chi ha condiviso la notizia l’ha fatto in buona fede, per fiducia, direi, nei confronti di altri che l’hanno fatta girare prima. L’avrei sottoscritta anch’io, probabilmente, magari l'avrei anche commentata aggiungendo a quella altrui la mia indignazione, come ha fatto un mio caro amico, se per puro caso non fossi stata a conoscenza dei fatti. Volevo commentarla a mia volta per ristabilire la verità, ma non l’ho fatto. In seconda istanza volevo scrivere o telefonare a chi l’aveva postata e a chi l'aveva commentata, ma non ho fatto neanche questo. Perché?



Perché sono scoraggiata e non credo più alla politica fatta di scambi verbali, che non richieda una presa di coscienza profonda di quanto tutti siamo stati inquinati da tanti anni di berlusconismo dell’anima. Guardo indietro e mi rivedo giovane studentessa e poi ancora, dopo, a lottare per qualcosa che i più non comprendevano. Mi rivedo, come se quella fosse un'altra me, attraversare le strade di questa città in corteo e in mezzo agli sguardi distanti dei passanti.



Non contenta delle molte manifestazioni locali andavo anche fuori: a Roma, a Milano, a Bologna e a Trento e in tante altre città, sempre in corteo, sempre con la mia povera speranza di cambiamento incompresa. Con gli anni ho cominciato ad accorgermi che alcuni meccanismi della politica che giudicavo meschini erano in parte trasversali a destra e sinistra. Per esempio la pratica della doppia verità: una per la gran parte delle persone, coinvolte solo per emotività  o per fede, e una per un gruppo più ristretto di dirigenti e intellettuali (che a volte coincidevano). Questa doppia verità la ritrovavo leggendo le cronache all’indietro, a prima che potessi averne testimonianza diretta. Quando, per esempio, c’era stato l’attentato a Togliatti e subito era accorsa vicino a lui la sua compagna, Nilde Iotti, si cantava nella ballata composta a uso popolare che quella donna era invece la moglie legittima e la si citava con tanto di nome: Rita Montagnana.



La coppia Togliatti-Iotti era legittimata a livello di dirigenza e funzionava come qualsiasi coppia anche se non c'era stato matrimonio, con inviti ricambiati eccetera, ma al popolo si raccontava qualcosa di diverso. Proprio così come si deve fare, canta il coro del Rigoletto, coi fanciulli e coi dementi.



Provo sempre dispiacere per le bugie montate ad arte, per la non verifica delle notizie attraverso la lettura diretta di fonti e documenti. Il dispiacere si fa più grande se tali notizie riguardano più o meno direttamente la sfera politica, se la  montatura serve per autopropaganda, pensando che il fine giustifichi i mezzi, e se è opera di qualche esponente politico che si situa nell’area che cerchiamo di chiamare “sinistra” e nella quale, più o meno, ancora mi riconosco. Siamo tornati a prima di Galileo, almeno in politica.




Siamo tornati al fare leva con spregiudicatezza e insopportabile calcolo del consenso sulle corde più sensibili e delicate delle persone per accattivarsi la loro fiducia dal punto di vista emotivo. Mi guardo ancora all'indietro, come se fossi un'altra me, mentre pago il prezzo della bocciatura politica al liceo, per quelle mie lotte, o mentre rimando un esame perché c'è un'emergenza politica alla quale fare fronte. Mi guardo rinunciare a certi percorsi per ideologia esasperata, per rifiuto estremo, legato all'età giovanile, di ogni compromesso, per incapacità, ancora abbastanza resistente, di mentire. Se tornassi indietro lo rifarei? Me lo chiedo spesso e non riesco a non rispondere che sì, lo rifarei. Oggi, quando mi attivo per qualcosa in cui credo, pago un prezzo diverso e cioè il forte sentimento di solitudine che a volte mi attanaglia lo stomaco. Poi passa, per fortuna. E ricomincio ad avere anche un po' di fiducia nella parola, che, forse, può servire anche a capirsi. 
Tina Modotti - Una delle tante inascoltate

Quando mi prende male ripenso qualche donna coraggiosa di cui conosco la storia e leggo qualcosa che la riguarda. Come questa poesia di Pablo Neruda a Tina Modotti, morta in circostanze oscure, sola, nella notte, nel freddo abitacolo di un taxi. 

TINA MODOTTI E' MORTA di Pablo Neruda

Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l'ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.

La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici.
Non dormirai invano, sorella.

Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d'acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura.

Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l'anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.

Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non arrivi l'assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai tranquilla.

Non odi un passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grande dalla steppa, dal Don, dalle terre del freddo?
Non odi un passo fermo di soldato nella neve?
Sorella, sono i tuoi passi.

Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d'una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.

Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.

Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.

Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall'acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché non muore il fuoco.

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