martedì 19 novembre 2013

La colpa della natura, la colpa verso la natura


Non avevo ancora avuto modo, oggi, di guardare i giornali né di ascoltare le notizie o di cercarle in rete. Leggo ora dei morti per quella che non può essere affatto ritenuta solo una sciagura naturale legata alle particolari condizioni geotermiche che caratterizzano la Sardegna. Infatti c’è da considerare anche la scellerata scelta umana e politica di intendere il progresso come consumo di suolo senza limiti, quasi che le risorse della terra fossero infinite.

C’è inoltre da ricordare la cementificazione selvaggia, legata a un turismo altrettanto selvaggio, da predatori. Quando ero ragazza e passavo molti mesi, a volte estati intere, ospite di amiche o amici sardi che erano miei compagni di studi a Pisa, mi stupivo dell’aspetto brullo di certi paesaggi. E loro mi parlavano della depredazione delle foreste dell’isola, nel XIX secolo, a opera dello stato sabaudo, per fare di quegli alberi le traversine delle ferrovie italiane.


Cosa c’è di diverso - pensavo poco fa - rispetto all’indifferenza ambientale del qui e ora? Si tratta di quella stessa avidità che ha permesso di costruire, in Sardegna, anche sotto il livello del mare o in zone di tracimazione dei fiumi  o di altri corsi d’acqua. La differenza è che questa volta il colpevole non è un colonizzatore esterno, venuto dal nord, ma un nemico interno. In questo articolo si leggono le dichiarazioni di uno dei geologi che avevano elaborato il Piano fasce fluviali per quelle zone a rischio idrogeologico. Racconta di amministrazioni miopi desiderose di bloccare tale piano e di cittadini ancora più ciechi. Ci ricorda che i corsi d'acqua lasciati liberi non provocano simili tragedie e che ne sono invece al centro quelli coartati tra cemento e mattoni, imbrigliati in terreni di asfalto e cemento incapaci di assorbire la pioggia.
Sono scene apocalittiche quelle che vedo scorrere in rete, scene da cinema delle catastrofi, irreali.


Ponti che crollano e muri e case allagate e i morti, grotteschi testimoni dell’effimero e falso mito del progresso che abbiamo coltivato. Chiama mia sorella e mi racconta di un nuovo temporale fortissimo atteso a Cagliari, dove vive uno dei nostri fratelli e cominciamo a telefonare, ma risulta irraggiungibile. Gli invio un sms: “dai notizie, per favore”. Finalmente chiama, anche se non capisco niente perché la sua voce è sommersa dai rumori degli orchestrali che accordano gli strumenti. Sapevo che non correva pericolo, ma in questi casi l’irragionevolezza emotiva prende sempre il sopravvento perché ci si rende conto improvvisamente di quanto fragile sia la nostra esistenza e quanto insensatamente la rendiamo noi stessi ancora più effimera.

Costa Rei - 2009

2 commenti:

  1. "Un fiume arginato che di tempo in tempo rialza il livello del suo alveo è rovinoso e micidiale alle pianure adiacenti" (Antonio Belloni, 'Memoria idrometrica sopra l’Arno', 1777) https://archive.org/stream/memoriaidrometri00bell#page/n5/mode/2up
    Ma evidentemente, nonostante il nostro effimero progresso, non abbiamo ancora acquisito le verità più elementari.

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  2. Il non riuscire ad accettare che le risorse naturali hanno dei limiti, che sono esauribili e che il progresso non è sinonimo di crescita esponenziale dei consumi e dello sfruttamento di terra, acqua e aria va di pari passo con il non accettare i nostri limiti psicofisici di esseri umani. L'altro mito effimero distruttivo, infatti, è quello dell'eterna giovinezza. Conosco persone, e ormai non più in prevalenza noi donne, ma anche molti uomini, letteralmente terrorizzate da una ruga oda un nuovo capello bianco.

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