venerdì 20 settembre 2013

La ragazza della foto



La ragazza della foto era la mia nonna; si chiamava Maria e l’ho conosciuta quand’era ormai provata dai troppi dolori, ma non sconfitta. Per questo, nei momenti di maggiore difficoltà o scoramento, la sua immagine mi accompagna sempre, come un dolce invito a non lasciarmi andare, a reagire, a mostrare coraggio e passione vitale. La ricordo con una veste scura a piccoli disegni bianchi; una veste frusciante sopra due gambe ancora belle nonostante l’età.



Mi capita, qualche volta, di cercare tra la folla una veste di donna come la sua e anche mani come le sue, così diverse dalle mie, così affusolate e sottili e con la pelle delicata, ma capaci di una stretta forte e salda. Cerco anche, per le strade, il profumo di lavanda dei cassetti e degli armadi di quella donna; di quella donna che aveva un nome che è parte del mio. Cerco di avvolgermi nel suo dolore antico quando devo attraversare il mio, e cerco il suo sorriso generoso, il suo sguardo intenerito dal troppo soffrire, ma non arreso. Rivedo le foto dei suoi figli – uno morto a 18 anni e l’altro a 22 - accanto al mio lettino, nella sua casa che ora è di altri. Li conoscevo più che se li avessi conosciuti quand’erano vivi. Li conoscevo nella verità di ciò che aveva rappresentato la loro perdita, attraverso le parole della sua reiterata narrazione che si frapponeva, testarda, tra la vita e la morte, più forte e ostinata di ogni ragionevolezza.



Con quel suo parlare come se la potessero ascoltare, proprio attraverso me, grazie alla mia piccola presenza ancora non corrotta dalle insidie della ragione, volava in alto sopra il dolore e l'irreparabile; attraverso me che, così piccola, potevo ancora non distinguere del tutto la differenza tra la realtà di fuori e quella di dentro.

Volterra, per me, è prima di tutto il luogo
in cui vivevano i miei nonni materni
Anche stamani esco a rincorrere quella veste scura a piccoli disegni bianchi e ho fortuna. C'è più avanti, sulla mia strada, una sagoma di donna vestita in modo simile a quello, che la ricorda nell'incedere, nelle forme. La tentazione di chiamare è fortissima, ma mi tengo lontana, mi accontento di guardare. Cammino, un passo dietro l’altro, un passo dietro l’altro e mi stupisco di scorgere, riflessa nelle vetrine, una bambina con un corpo di donna, una donna con i miei vestiti. E intanto li guardo, passeggiando da sola, tutti questi umani che portano dipinta in faccia, ignari, la loro piccola sorgente segreta di gioia o il loro rimpianto.


Leggo le rughe, gli sguardi degli uomini e quelli dei bambini; e la fretta delle donne con le sporte cariche e i passi e l’andatura di ciascuno. E soffro, come talvolta mi succede, di non poterli prendere tutti per mano, anche i cattivi, anche quelli che si distruggono e si uccidono nella paura o nella propria stessa invidia. Soffro di non poterli prendere per mano per dire loro, sussurrare, cantare, urlare le cose vere della vita che anch’io, che tutti noi, qualche volta perdiamo di vista.

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