sabato 2 marzo 2013

Piccole vite

Sibilla vestale della cultura.
Non riesco a scrivere niente da quando è successo perché la mia Sibilla aveva acquisito una certa notorietà tra i miei amici proprio attraverso facebook e da tempo non passa giorno che qualcuno incontrato per strada non la rammenti sorridendo e non mi chieda come sta. Dunque bisogna che lo scriva che non c’è più, perché nessuno mi chieda più di lei, e bisogna che lo scriva, anche se a molti sembrerà sciocco, banale, di poco conto, che l’abbiamo accompagnata nel suo ultimo viaggio con carezze a quattro mani, mio figlio e io, dopo avere consumato la decisione che era meglio farla morire rispettando la sua dignità felina ed evitandole inutili sofferenze per qualche giorno in più. Ogni tanto penso, irrazionalmente, che non ho saputo proteggere la sua piccola vita. E non riesco a entrare in casa, e rimando e rimando, perché so che non sarà lì, sulla soglia, ad accogliermi. Disprezzo, oggi più che mai, chi dice che si antropomorfizzano gli animali che vivono con noi solo perché li consideriamo membri della nostra famiglia; perché lo sono, a tutti gli effetti. 

Sibilla nella sua tipica posizione di attesa

E poi convivere con animali di specie diversa dalla nostra, cercare di ibridare i linguaggi, di comunicare anche in altri e diversi modi da quelli fin troppo scontati delle parole ci aiuta ad accettare il nostro, umano, limite psicofisico. Ci ricorda l’importanza dello sguardo, della carezza, del profumo e dell’odore che definiscono il corpo dell’altro e del contagio emozionale non riflessivo, ma immediato e diretto. Sibilla se n’è andata percependo, come è stato sempre da  dieci anni a questa parte, tutto il nostro affetto. Credo sia stata una gatta felice perché così tanto amata, ma ha moltiplicato tutto quello che ha ricevuto da noi restituendoci molto, molto di più.

Sibilla cucciola. Nel suo primo giorno a casa
nostra già si era conquistata il divano.

In questa foto era piccolissima, appena entrata nella nostra casa...